sabato 20 aprile 2013

Perché non voglio più essere italiano di Andrea Canova

Se, nella sua famosa lettera, Pier Luigi Celli invitava suo figlio ad andarsene dall’Italia, io sarò più radicale: io non voglio più essere italiano.
Be’, direte: e chi se ne frega? Problema tuo, no? Forse, ma per esserne sicuri credo se ne debba parlare per il semplice fatto che questa mia tesi presuppone una domanda che potrebbe riguardare una platea più ampia: perché dovrei esserlo? Perché dovrei essere italiano? Perché dovresti essere italiano?
Iniziare un discorso da una condizione soggettiva è sempre molto pericoloso. Le possibilità di essere vilipeso, sbeffeggiato, “satirizzato”, “ironizzato” sono altissime, e forse anche legittimamente. Tuttavia, siccome mi è concesso questo privilegio di poter scrivere su questo mezzo, correrò i miei rischi.
Il sociologo francese Pierre Bourdieu, nelle “Meditazioni pascaliane”, consigliava di dichiarare il proprio punto di vista prima di esporre qualunque tesi. Ben detto, ed ecco qua il mio punto di vista: nel mio personale “romanzo di formazione” il concetto di “italianità”, così come quello di “Nazione”, “Patria”, “Identità”, hanno sempre avuto un ruolo marginale se non nullo. Diciamo che il mio trovarmi qui “per caso” ha fatto e fa di me un cittadino formalmente italiano, ma nulla di più. Diciamo che, per utilizzare un termine desueto e che farà irritare molti, mi sono sempre sentito “internazionalista” o, per essere contemporanei, “globalista”, nonché “cosmopolita”.
Poi, come per ognuno di noi, piano piano si è maturati, cresciuti, si è andati a lavorare, si sono fatte esperienze esistenziali, culturali e, perché no, burocratiche. Insomma, si è vissuto dialogando quotidianamente con la realtà che ci si presentava di fronte, a volte subendola a volte plasmandola. Banale, esperienza comune a tutti noi, certo. La vita, nulla di più, nulla di meno. O forse no, non poi così banale. La vita vissuta in un contesto, la vita vissuta in determinate condizioni oggettive, ossia, nel nostro caso, l’Italia così come si è evoluta e come è cambiata negli anni e che cosa è oggi.
Bene, a me l’Italia di oggi fa letteralmente schifo. Sì, schifo proprio. Consapevolmente schifo, per cui tale consapevolezza non può che farmi trarre le necessarie conseguenze dal mio “romanzo di formazione”: non voglio più essere italiano, per cui chiedo al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di togliermi la cittadinanza italiana, perché io non sono più un italiano.
L’Italia è un paese fondato sui clan, le famiglie, le cordate, il disastro burocratico, l’inefficienza tecnologica, il dissesto idrogeologico, l’obsolescenza delle infrastrutture, la criminalità organizzata, la truffa politica come questi referendum che faranno la fine della famosa legge sul finanziamento pubblico dei partiti, il non mantenere mai la parola data, l’abbandono delle forze dell’ordine, l’evasione fiscale, il banditismo in ogni settore pubblico e privato, il ricatto, l’estorsione, il pettegolezzo, la distruzione della scuola pubblica in ogni sua forma, l’abbandono dei nostri beni culturali, l’ingessatura del mondo del lavoro, il precariato straccione, un cattolicesimo reazionario, l’inganno agli immigrati, un sindacato ottocentesco, dei partiti (sinistra e destra) impresentabili, vecchi, logori, sfiancati, un nepotismo sfrenato in ogni settore pubblico e privato, e potrei continuare per pagine e pagine.
Bene, se questa è oggi l’Italia io non sono un italiano, mi fa schifo esserlo, me ne vergogno e non lo voglio più essere e chiedo a ognuno di voi perché vuole essere italiano, non perché lo è “per caso”. Perché oggi, nelle condizioni date dell’Italia contemporanea, un cittadino italiano vuole continuare a definirsi tale?
Spiegatemelo.
FonteSfogo e riflessione di un Italiano

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